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Il Vicepresidente Sacco interviene a Roma sul tema della mediazione culturale

Il Vicepresidente Sacco interviene a Roma sul tema della mediazione culturale

Novembre 23, 2012 - 11:51

Leonardo Sacco, Vicepresidente delle Misericordie di Italia, è intervenuto al seminario accademico sul tema «Mediazione culturale e "Merenda Etnica"» organizzato dalla prestigiosa Università Campus Bio-Medico di Roma, legalmente riconosciuta sin dal 1991 la cui offerta didattica comprende le facoltà di Medicina e Chirurgia e di Ingegneria.
La partecipazione del governatore della Misericordia di Isola Capo Rizzuto all'incontro, introdotto da Giovanni Mottini, responsabile dei progetti di cooperazione universitaria internazionale dell'Università Campus Bio-Medico, segnala una importante collaborazione con l'ateneo romano, impegnato in questo caso su un tema particolarmente delicato: le aspettative del paziente migrante nei confronti del sistema sanitario nazionale e degli operatori, le aspettative degli operatori stessi nei confronti dei pazienti, i significati simbolici dei due poli della relazione, i possibili livelli di incomprensione e le diverse concezioni culturali di malattia.
Leonardo Sacco ha discusso l'argomento nell'ambito dello spazio dedicato alla cosiddetta "medicina narrativa".
Dopo avere ricordato la storia delle Misericordie, Sacco ha riferito dell'organizzazione del complesso servizio nel Centro d'accoglienza per richiedenti asilo di Sant'Anna e quindi è passato a occuparsi del tema vero e proprio del seminario: la mediazione linguistico-culturale.
"Non si può non comunicare!" ha affermato il Vicepresidente delle Misericordie. "Le parole o i silenzi, l’attività o l’inattività costituiscono un atto comunicativo: qualsiasi interazione umana è una forma di comunicazione, qualunque atteggiamento assunto diventa portatore di significato. La comunicazione verbale e non verbale di tutti i soggetti che si recano in un Paese straniero culturalmente diverso è particolarmente esposta a fraintendimenti e coinvolge sempre la persona sul piano emotivo. In questi casi un comportamento inaspettato o diverso da quello previsto può suscitare emozioni che scoraggiano la comunicazione. Uno dei maggiori ostacoli ad una efficace comunicazione interculturale è l’inconsapevolezza di differenze di carattere culturale. Quell’inconsapevolezza che fa credere che gli atteggiamenti della nostra cultura siano 'adeguati' a una determinata situazione e quelli degli altri 'inadeguati', mentre sono semplicemente diversi. Nella comunicazione interculturale bisogna essere consapevoli degli stereotipi che vengono utilizzati dagli interlocutori. Gli stereotipi possono però essere utili, a volte addirittura essenziali, per disegnare una mappa che ci guida all’interno di una relazione interculturale".
"La persona che emigra in un Paese straniero - ha proseguito Sacco - deve fare i conti con un brusco cambiamento di vita quotidiana: un passaggio necessario e mai per niente facile da realizzare". Naturalmente, le difficoltà aumentano nel caso di esperienze sanitarie. Ecco perché, ha aggiunto il leader del movimento, "nel servizio sanitario del Centro d'accoglienza la mediazione linguistico-culturale risulta di fondamentale importanza. Più che in altri contesti, il mediatore stabilisce in questo caso un rapporto di fiducia con l’ospite, aiutandolo ad esprimere e comunicare i propri bisogni relativi alla sfera della salute".
L’ospite, d'altro canto, è una persona che, a causa di problemi nel suo paese d’origine riconducibili a diversi fattori quali, religione, sesso, razza, lingua ecc, è costretto ad abbandonare il paese di provenienza. In questo suo doloroso passaggio, porta con sé un vissuto connotato da eventi drammatici e accompagnato dalla paura dell’ignoto. Giunge, quindi, in un paese straniero di cui non conosce usi, costumi, lingua e all’interno del quale tutto gli appare diverso rispetto a ciò a cui era abituato. Nell'approccio alle malattie queste differenze si esasperano. "Infatti, i migranti - ha spiegato Sacco - per la cura delle malattie fisiche e psicologiche nel paese d’origine ricorrono spesso ai riti tradizionali (wudu, fitoterapia, rituali magici…) e quasi mai richiedono interventi specialistici per la risoluzione di problematiche di natura medica. Giungendo in Italia e, inizialmente, nel Centro di Accoglienza di S. Anna iniziano ad assumere consapevolezza di un nuovo e sconosciuto modo di operare nell’ambito medico, soprattutto nella misura in cui l’anamnesi è non solo fisica ma anche sociale". Ne consegue che il ruolo del mediatore è delicatissimo, "al punto - ha concluso Sacco - che egli  ne diventa protagonista attraverso un'interlocuzione attiva verso un soggetto, l'ospite, riconosciuto come portatore di diritti piuttosto che di problematicità".